L’unità operativa che ho diretto per 25 anni era considerata un’eccellenza. Un servizio di preospedalizzazione efficiente, la disponibilità del personale sulle 24 h, l’ambulatorio per seguire i pazienti dopo la dimissione.

Tre fattori che hanno permesso la riduzione dei tempi di attesa e delle giornate di degenza. Il nostro modello può essere esportabile a tutte le unità operative.

Il rilancio del Forlanini, che per anni è stato l’orgoglio della sanità italiana. Il Forlanini è conosciuto in tutto il mondo e per quello che ha rappresentato nel corso degli anni, nella lotta alla tubercolosi, non può essere dismesso e abbandonato. È uno dei luoghi storici della Scienza. Nel progetto che ho presentato, per la riqualificazione di questo ospedale, non erano previsti costi eccessivi. La mancata approvazione, a quel progetto, ha causato molte proteste da parte dei cittadini, i quali volevano rivedere il Forlanini nella sua funzione originale, ovvero, quella di assistere. A sostenere il mio progetto due parlamentari: Morassut e Zaccaria, i quali, nel febbraio 2010, hanno presentato un’interrogazione parlamentare. La battaglia per restituire il Forlanini alla città continua.

Modello Sanitario Integrato

A appropriatezza, assistenza infermieristica, anzianità (il 19% della popolazione laziale ha più di 65 anni)

B base (medicina di)

C cronicità (il 38 % della popolazione ha una patologia cronica)

D domiciliare (assistenza infermieristica e medica), decentramento (l’ospedale non deve essere l’unico riferimento sanitario)

Nelle prime quattro lettere dell’alfabeto troviamo gli aspetti che più caratterizzano la situazione sanitaria del Lazio (e di molte altre Regioni del nostro Paese). Le eccellenze ospedaliere non mancano e le situazioni di emergenza vengono gestite in modo assoluto. Il problema è rappresentato da tutte quelle condizioni di malattia che, non presentando criteri acuti, vengono affrontate in ospedale, ovvero: l’invecchiamento e le patologie ad esso correlate.

La via giusta, per migliorare il servizio sanitario regionale, è investire sul territorio.

PTP (Presidi Territoriali di Prossimità): al momento ne sono stati attivati pochi, uno di questi il Nuovo Regina Margherita a Trastevere. Queste strutture, se fatte funzionare con regolarità e, soprattutto, posizionandole nei punti strategici nella regione, possono “decongestionare” in maniera efficiente gli ospedali.

RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali): queste strutture erano previste nel mio progetto di rilancio del Forlanini. Lo storico ospedale, grazie alla sua posizione, offre molti spazi sia all’esigenza assistenziale, sia alle attività che un residente può svolgere in modo autonomo.Le strutture sopracitate possono sostenere tutta la domanda di assistenza che, in questo momento, si riversa negli ospedali. Trovo assurdo che una persona venga ricoverata in ospedale perché non autosufficiente o perché non ha una rete familiare che possa aiutarlo. Molti pazienti restano in ospedale soltanto perché devono seguire terapie specifiche (flebo, iniezioni, medicazioni), oppure necessitano, esclusivamente, di assistenza infermieristica.

Non solo gli edifici, soprattutto le persone: infermieri e medici.

Gli infermieri, oggi, sono professionisti della salute. Possono gestire, in modo autonomo, situazioni di “emergenza assistenziale”. Grazie al percorso formativo che seguono (universitario) gli infermieri sono una grande risorsa: il problema è che viene sottoutilizzata. Nel mio progetto, non solo è prevista una centralità intorno alla figura infermieristica nei PTP e nelle RSA, ma è ipotizzabile un potenziamento degli infermieri sul territorio.

Un’altra figura che deve essere coinvolta nel nuovo sistema assistenziale è il medico di famiglia. Per molti anni unico punto di riferimento sanitario, pensiamo agli anni settanta, poi sempre meno coinvolti nelle diagnosi o nei programmi terapeutici. Il medico di famiglia dovrebbe avere un contatto continuo con il proprio assistito, anche in una fase di ricovero ospedaliero, inoltre, deve interagire con i colleghi medici ospedalieri per pianificare, insieme, la continuità assistenziale al momento della dimissione. Mi è capitato, molte volte, di sentire pazienti esprimere disagi una volta dimessi, soprattutto se la dimissione dall’ospedale avviene in prossimità del fine settimana. Capisco la sensazione di “vuoto assistenziale” dei cittadini quando escono da una struttura ospedaliera e un po’ di questa paura è normale; si lascia un luogo nel quale bastava suonare “il campanello” per ricevere una risposta immediata, per andare a casa. Tuttavia, la continuità assistenziale deve essere garantita, un canale di comunicazione tra l’ospedale e il medico di famiglia migliorerebbe questo aspetto.

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