Quando venne promulgata la Costituzione, non avevo nemmeno quattro anni. Nel Paese erano ancora evidenti le ferite di una guerra terribile. In molte zone le condizioni di vita erano al limite della sopravvivenza: poco cibo, niente farmaci, nessuna prevenzione alle malattie.
La mortalità infantile raggiungeva il 92/1000, la speranza di vita non superava i sessant’anni. Le malattie respiratorie, come la polmonite, erano le principali cause di morte. Si moriva anche per una semplice gastroenterite, della difterite e del morbillo.
L’Assemblea Costituente, che conosceva bene la drammatica situazione socio-sanitaria di quel periodo, decise di sancire in modo assoluto la garanzia, a tutta la popolazione italiana, di difendersi dalla malattia.
L’articolo 32 della Costituzione è chiaro :
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
“Diritto alla Salute” altro non è che l’estrema sintesi di uno pilastri sui quali è stata ricostruita la nostra identità nazionale: sia dal punto di vista giuridico, sia da quello etico.
In questi anni il sistema sanitario ha subito molti cambiamenti, forse il risultato finale non coincide con le aspettative dei Padri della Patria. È vero, oggi l’assistenza sanitaria è garantita a tutti, però ci sono degli aspetti controversi; aspettare sei mesi per fare un’ecografia non è diritto alla salute, dormire su una barella al pronto soccorso, in attesa di un posto letto, non è diritto alla salute.
Durante il mio percorso, di medico ospedaliero, sono sempre andato incontro alle esigenze dei cittadini. Chi ha una patologia non ha tempo. E’ doveroso, da parte dell’organizzazione sanitaria, dare delle risposte immediate. Non è giusto che l’angoscia di una probabile diagnosi si protragga per mesi solo per il fatto che non è possibile fare in tempi brevi tutti gli accertamenti del caso.
Le liste di attesa, per ricoveri ospedalieri o esami diagnostici, rappresentano un insulto all’articolo 32.
Sicuramente le recenti politiche sanitarie, subordinate al controllo della spesa pubblica, rendono più difficile il compito che ci è stato conferito dalla comunità, ovvero curare.
Tuttavia, questo non può essere l’alibi di un servizio che, oggettivamente, mostra grosse lacune. Sono gli uomini e le donne che possono migliorare la qualità della vita di una nazione; la situazione economica non ci aiuta, non ci aiutava nemmeno nel 1948, eppure, qualcuno ebbe il coraggio di subordinare le persone e le risorse al Diritto. Anche quello di proteggere la propria Salute.